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Gianluca Grignani: «A Sanremo per parlare a tutti e di tutti». L'INTERVISTA

"Quando ti manca il fiato" è il titolo della canzone che il cantautore milanese si appresta a presentare al Festival, dove parteciperà per la settima volta in gara, dopo l'ospitata dello scorso anno in coppia con Irama

ph Ste Brovetto


Il Festival di Sanremo si avvicina, cresce l'attesa per diversi attesi ed eclatanti ritorni da parte di grandi nomi della musica italiana. Tra questi, naturalmente, c'è Gianluca Grignani che si appresta a calcare per la settima volta in gara il palco dell'Ariston con la canzone "Quando ti manca il fiato". La poetica e il suo graffio inconfondibile accompagnano l'intero ascolto, in un fil rouge emotivo che non mancherà di coinvolgere sia il pubblico in sala che quello da casa. In questa intervista a cuore aperto, il cantautore milanese si racconta alla vigilia di questo importante impegno.


Intervista a Gianluca Grignani


“Quando ti manca il fiato” è il titolo della canzone che ti appresti a presentare al Festival di Sanremo. Una ballata matura e trascinante, una canzone difficile da spiegare a parole e immagino anche complicata da cantare, credo più per un discorso emotivo che tecnico… o mi sbaglio?


«Si è vero, grazie per averlo capito. Pur essendo comunque difficile da cantare, si tratta di un pezzo molto nelle mie corde. Ad esempio "Sogni infranti", brano con cui avevo partecipato al Festival l'ultima volta nel 2015, era particolarmente difficile. Sarà complicato portare su quel palco "Quando ti manca il fiato", la cosa assurda è che dovrei provarla il meno possibile per non perdere dal punto di vista emotivo, ma allo stesso tempo ho bisogno di cantarla per farla al meglio. È una preparazione atipica, come un po' tutto quello che faccio del resto. La canzone merita, altrimenti non sarei qua... in più non c'era un Sanremo così da anni».

Quale messaggio ti piacerebbe lanciare dal palco dell’Ariston attraverso la tua canzone?


«"Quando ti manca il fiato" ha la potenza di essere recepita come un mantra, me ne sono accorto dopo averla scritta. È una storia che mi riguarda, vera, ma quelli che l'ascoltano si sentono coinvolti. Ho visto gente insospettabile commuoversi. La canzone parla del momento in cui tutti quanti devono confrontarsi con la vita... ed è uno, uno soltanto. A me è capitato molto giovane, mentre a mio padre è capitato in età più matura. È un brano che non ha morale e ti racconta come poter reagire davanti a un confronto così determinante, in primis con se stessi. Noto che le persone si sfogano, al punto che nel reprise finale abbiamo voluto mantenere e sottolineare questa atmosfera corale, proprio perchè è un pezzo che tende a poter parlare a tutti e di tutti».

Ci racconti com’è avvenuto l'incontro e il successivo lavoro in studio con il maestro Enrico Melozzi?


«Enrico è diventato un caro amico, con lui ho scritto parte della canzone, entrando non soltanto nella parte musicale, dandomi dei consigli e rivedendo insieme alcuni passaggi, al punto che mi sono sentito di fargli firmare anche la parte testuale. È intervenuto ascoltandomi e parlandomi. Per la prima volta mi sono sentito appagato, perché ho trovato un musicista da cui poter imparare. Con lui mi sono trovato a mio agio e nella condizione di stupirmi del le sue stesse capacità. Insomma, ci "scompensiamo" (sorride, ndr)».



Qualche tempo fa, in occasione dell’uscita del singolo "Tu che ne sai di me" avevi raccontato che quella era stata la prima canzone che avevi scritto al piano, definendoti un neofita del pianoforte. Com’è avvenuto l’incontro con questo strumento?


«Ad un certo punto della mia vita, circa due anni fa, mi sono sentito non all'altezza di me stesso, come se con la mia testa potessi arrivare ovunque, ma nella realtà dovessi fare i conti anche con i miei limiti. Essendo un chitarrista, ho sempre guardato il piano un po' con sospetto. Affascinandomi parecchio questa cosa, mi sono avvicinato al pianoforte con la mentalità di un musicista in grado di fare molto, tipo che mi muovo come fossi Elton John e suono con la tecnica di mio figlio di dodici anni. Il piano è stato galeotto per la composizione dei miei tre dischi "Verde smeraldo", perché per un periodo ho vissuto in una stanza dove c'era una tastiera, non potevo fare altrimenti e in quel momento ho imparato a considerare l'armonia in maniera più completa, veloce e ho scoperto di poter fare cose che nemmeno mi aspettavo».

In questi ultimi anni il Festival si è evoluto, cosa ti ha convinto a rimetterti in gioco sullo stesso palco che ti lanciò prima con "La mia storia tra le dita" e poi con "Destinazione paradiso"?


«Amadeus ha fatto un grande lavoro perché ama la musica ed è una persona molto intelligente, ha una visione totale che mi ricorda quella di Pippo Baudo. Negli ultimi tre anni mi sono trovato a guardare Sanremo e lo spettacolo mi è piaciuto, al punto che lo scorso anno ho cantato nella serata dei duetti con Irama. All'inizio non ti nego che non ci volevo andare, ma quando mi sono ritrovato l'invito di Ama mi sono sentito di accettare, così ho pensato subito che "Quando ti manca il fiato" potesse essere perfetta per questa occasione».

In riferimento alle tue precedenti sei partecipazioni in gara al Festival, ti chiedo: c’è un’edizione che pensavi onestamente di poter vincere oppure l’idea non ti è mai sfiorata?


«No, mai. A seconda del periodo storico, se per caso mi capitava di pensare di avere un brano adatto per la vittoria, avevo sempre dei problemi tali che la mia esibizione non era consona al pezzo. Mi è capitato, a ridosso della fine della kermesse, di vedere dei pezzi molto apprezzati dal pubblico, nonostante il loro posizionamento in classifica, tipo nel 2002 con "Lacrime nella luna". Insomma, quei pezzi hanno avuto poi una vita dopo il Festival ed è questo che conta. Pensiamo a "Destinazione paradiso" che si classificò al sesto posto tra i giovani nel '95, ma poi vendette un sacco, sia in Italia che in sud Sud America».

Per concludere, la cosa che ho sempre apprezzato del tuo percorso è che hai fatto sempre di tutto per fuggire dalle etichette e da chi ti voleva un personaggio. Lo dimostrano le tue scelte spesso controcorrente, ma immagino non sia stato sempre facile… così come non lo è affatto per tantissimi giovani oggi. Dato che tu hai la forza di parlare loro attraverso la tua esperienza, ti chiedo: ci vuole più consapevolezza o incoscienza nell’arrivare a considerarsi un artista?


«Si potrebbe scrivere un libro in risposta a questa domanda o tenere una lezione all'università, magari non io... ma qualcuno che sia in grado di farlo. L'artista ha necessità di sentirsi considerato tale, perché di solito si sente meno degli altri. Se non ha qualcuno di fianco a suo supporto, proprio come è capitato nel mio caso, non riesce a considerarsi un artista perché non si accetta. Si sente libero rispetto agli altri, però ha paura di questa libertà. Come disse Dalla: "la libertà è un lavoro". Non mi ritengo un uomo libero, ma ho necessità di esserlo il più possibile proprio perché sono un artista. Ci vorrebbe una scuola che insegna tutto questo, perché se sei originale, fuori dagli schemi e il tuo percorso non somiglia a quello di nessuno... allora nessuno sa collocarti e rischi di non essere compreso. Per questo oggi è difficile fare le rivoluzioni, proprio perché non si fanno certo in un giorno, bisogna prima farsi amare e poi farsi odiare. Quando non hai la sicurezza di te stesso, non riesci ad esprimerti al meglio sul palco e rischi che la tua energia venga dispersa o risulti inespressa. Tutto questo va difeso, prima che una persona si spenga... anche solo artisticamente. Prima di morire, vorrei riuscire ad aprire una scuola europea in grado di selezionare e consigliare i ragazzi, perché non tutti possono o devono fare questo mestiere. La musica oggi si usufruisce in maniera diversa, di talento ce n'è tanto proprio come un tempo. Sono cambiate le possibilità e la velocità dei canali che veicolano le proposte, ci vorrebbe una selezione, perché ci sono cantanti che sono artisti e altri che sanno fare bene marketing. "esser famosi è già fuori moda" scrissi in un brano qualche tempo fa».


Videointervista a Gianluca Grignani


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