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Luca Madonia: «La musica mi ha insegnato ad assecondare i miei sogni». L'intervista

Nel giorno dell'uscita del suo nuovo album "Stiamo tutti ben calmi", abbiamo raggiunto telefonicamente l'artista per approfondire la nascita di questo progetto e ripercorrere le tappe più rappresentative della sua quarantennale carriera

ph Giovanni Canitano


Quarant'anni di musica senza mai perdere la bussola della curiosità e dell'entusiasmo: questo il segreto di Luca Madonia, cantautore e musicista catanese dall’aplomb inglese, alfiere della new wave italiana con i Denovo e rappresentante della canzone d'autore nel suo longevo impegno solista. "Stiamo tutti ben calmi" è il titolo del suo nuovo progetto discografico a metà strada tra un album in studio e una raccolta, poiché contiene al suo inerno tre inediti più undici brani ripresi dal suo repertorio, riletti in chiave acustica in maniera così accurata da poter sembrare quasi dei pezzi nuovi e originali. Un'imperdibile antologia disponibile per Musica Lavica Records a partire dal 15 novembre.


Intervista Luca Madonia


Partiamo da “Stiamo tutti ben calmi”, a cosa si deve la scelta di un titolo così evocativo?


«Credo che questo titolo abbia una doppia valenza, la prima è contestuale al momento storico di grande isteria che stiamo vivendo, diciamo pure un invito a prendere le cose con la dovuta calma, a riflettere prima di agire, imparando ad ascoltare prima ancora di rispondere. Il secondo aspetto è riferito chiaramente alla musica, perché con questo disco festeggio i miei quarant'anni di musica, una storia bellissima iniziata da ragazzino nell'82 con i Denovo e proseguita come solista da ben trentadue anni. A questo si deve la scelta di rivisitare i brani che più mi rappresentano, anche quelli che amavo meno e che ho cercato di riportare più vicini alle mie corde, rileggendoli in chiave acustica e celebrale, per certi aspetti direi in veste più matura».

A proposito di passato e di presente, com’è cambiato negli anni il tuo rapporto con il tempo che passa?


«La prima cosa che mi viene in mente è che mi sento un privilegiato perché, sai, quarant'anni sono tanti e posso ritenermi soddisfanno nell'aver attraversato una vita in musica... facendo il mestiere che amo. Chiaramente è cambiato il mio approccio rispetto a quando ho iniziato, anche se ho sempre vissuto questa forma d'arte con estrema libertà. Partiamo dal presupposto che sono dell'idea che le canzoni non invecchino mai, al massimo i suoni e gli arrangiamenti, ma ciascuno di questi brani ha fatto parte della mia vita e mi lega a tanti ricordi. L'importante era non tradire la propria identità e, riascoltando questo disco, penso di aver ripercorso, restaurato e presentato fedelmente la mia storia. La scelta di sonorità acustiche e minimali si deve a questa mia evoluzione, perché andare in sottrazione è una consapevolezza che ho acquisito col tempo, quando ho capito che basta solo una chitarra per fare meraviglie. Ci tengo a ringraziare Denis Marino, che si è buttato con me in questa avventura a livello di produzione, soffiando e remando nella stessa direzione».



Come raccontavi, la tua carriera parte negli anni ’80 con i Denovo, un gruppo che ha rappresentato una ventata di innovazione in un momento storico di forte cambiamento internazionale che, in qualche modo, aveva messo in crisi il cantautorato classico italiano, premiando sulla lunga distanza chi in quegli anni ha fatto sperimentazione pura e non si è limitato a seguire la moda del momento. Per citare Raf, cosa pensi sia rimasto in definitiva degli anni '80?


«Guarda, amo molto quel periodo, perché è stato il mio decennio. Tutto è partito da lì, quando da ragazzini ci chiudevamo nelle cantine per suonare con il gusto di inventarci qualcosa di nuovo. Un po' come per il punk in Inghilterra, la new wave italiana ha rappresentato un momento di rottura. Erano anni in cui molti cantanti cosiddetti tradizionali non potevano neanche esibirsi sul palco e le radio passavano solo musica straniera. È stata un'epoca importante, vissuta dal sottoscritto con l'entusiasmo dei vent'anni, per cui sono legatissimo a un periodo che, certo, rispetto ad oggi sembra davvero appartenere a un'altra vita, a un altro mondo. In più. essendo partito dalla periferia, era ancora tutto più difficile. In quegli anni Catania era considerata l'estrema periferia dell'impero, per andare a suonare dovevi fare chilometri e chilometri in autostrada, ricordo trasferte incredibili. Però tutto serve e queste esperienze mi hanno regalato una vita bella e piena».

Tra gli inediti che fanno parte di questo lavoro, perla tra le perle è il singolo apripista “Non mi basta”. Da quali pensieri è scaturita questa profonda riflessione sul destino?


«È un brano nato da un momento di buio nell'anima, da quel male di vivere che scaturisce dal non ritrovarsi nel comune senso del pensare e dell'agire. Ho riflettuto molto su questo mondo pazzo che ci spinge a sentirci alle volte insoddisfatti, sia di situazioni che di persone. Alla fine, però, arriva sempre la consapevolezza che siamo noi artefici del nostro stesso destino. Possiamo un minimo cambiare le cose e, volendo, anche un massimo. Forse per egoismo o per masochismo, purtroppo, riusciamo spesso a rovinare tutto. Per quanto mi rigurda, questa è un po' una metafora della vita».



Tra i pezzi riletti, hai dichiarato che “Ma che idea” era uno di quei brani che non avevi particolarmente amato nella versione originale presentata a Sanremo nell’88. Cosa non ti convinceva e in che modo sei riuscito a restituirgli nuova vita?


«È una canzone che consideravo un po' frivoletta, un po' leggerina, mentre con questa nuova veste acustica credo sia diventata più pacata Non a caso sono andato per sottrazione, per dare maggiore risalto al canto e alle parole. Sai, erano gli anni '80, c'erano determinati suoni legati a quel momento storico, anche se l'ho sempre considerata una canzone importante, perché ci ha permesso di partecipare a Sanremo in anni in cui il Festival era visto come un qualcosa di eccessivamente mainstream. Non a caso, quel nostro passaggio fu inteso da molti come un tradimento, perché con i Denovo facevamo parte del nuovo rock italiano, eravamo considerati degli integralisti della musica (ride, ndr), calcare un palco così nazionalpopolare aveva rappresentato per noi una grossa cassa di risonanza, ma aveva fatto anche storcere il naso a qualcuno. Riprendere in mano quel pezzo è stata un po' una sfida, alla fine penso di aver restituito un senso a un brano che, sì, forse non ho mai amato come in questo momento».

A proposito del Festival, in scaletta non manca “L’alieno”, brano che ricordiamo per la tua partecipazione a Sanremo 2011 insieme ad un "corista" d'eccezione. Qui ti lascerei campo libero, tipo come si faceva a scuola per i temi con argomento a piacere: “L’alieno” e Franco Battiato. Svolgimento:


«Questo è un brano che non poteva assolutamente mancare, perché mi ricorda in tutto e per tutto Franco, La storia del "corista" è vera, nel senso che era stato proprio lui a definirsi così, perché non voleva sentirsi ingombrante, questo a conferma della grande persona che ha sempre accompagnato l'artista prendendolo per mano. Il suo intervento ha di certo nobilitato il pezzo in modo meraviglioso, sottolineando questa nostra preziosa amicizia nata sul finire degli anni '80, quando lo incontrammo e ci produsse il disco "Venuti dalle Madonie a cercar Carbone", titolo che rappresentava un giochetto con i cognomi dei componenti dei Denovo. Lì nacque un'affinità che abbiamo poi coltivato col tempo. Mi piace parlare di lui al presente: Franco è un personaggio incredibile, passa dalle vette più alte alle cose quotidiane con una semplicità estrema. Una persona splendida, generosissima, che mi ha insegnato e dato tanto».



Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica in questi quarant’anni di attività?


«Che nella vita vale sempre la pena seguire i propri sogni, lezione che vale per tutti. Io l'ho fatto, con onestà e ostinazione, la musica mi ha insegnato a non arrendermi mai e, forse, ha rappresentato anche la mia salvezza. Sai, studiavo medicina, ma desideravo più di ogni altra cosa fare il musicista. Quando esplosero i Denovo mollai tutto, anche se avevo terminato gli studi universitari e mi mancava giusto la pratica per conseguire la laurea. La musica mi ha insegnato che assecondare le proprie voglie e seguire ciò che ti piace ti porta inevitabilmente a vivere in pace con te stesso. Forse sarei diventato un pessimo e frustrato medico, mentre oggi posso ritenermi un felice e mediocre cantante (sorride, ndr)».

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