Marco Mengoni: «Nelle mie vene scorre il sangue della contaminazione». L'INTERVISTA
È uno dei nomi di punta della scena musicale italiana, voce inconfondibile quanto straordinaria. Lui è Marco Mengoni, in uscita con l'album "Materia (pelle)"

ph Alessio Boni
A meno di un anno di distanza dall'uscita del primo capitolo "Materia (terra)", Marco Mengoni pubblica il secondo episodio della trilogia, intitolato "Materia (pelle)", disponibile per Epic Records Italy / Sony Music Italy da venerdì 7 ottobre.
Tredici tracce in scaletta, impreziosite dai featuring con Samuele Bersani, La Rappresentante di Lista e Bresh, più la speciale bonus track "Caro amore lontanissimo", presente solo nella versione fisica. Un inedito firmato da Sergio Endrigo datato 1973 e incluso nella colonna sonora del film "Il colibrì" di Francesca Archibugi.
In concomitanza con la tournée appena inaugurata nei palazzetti, l'artista ha annunciato il suo grande ritorno negli stadi previsto per la prossima estate e che lo porterà a Padova (20 giugno), a Salerno (24 giugno), a Bari (28 giugno), a Bologna (1 luglio) e a Torino (5 luglio).
Abbiamo incontrato Marco Mengoni per approfondire la sua visione umanistico-musicale, poiché, ancora una volta, il minimo comune denominatore di questo progetto è l'inclusività, il desiderio di aprirsi al prossimo abbracciando culture diverse, per una piena e consapevole evoluzione all'insegna della contaminazione.
Intervista a Marco Mengoni
Come si è sviluppato il processo creativo di questo progetto?
«L'idea del concept di questo album è arrivata quando, per gioco, ho deciso di fare un test del DNA, scoprendo di essere italiano soltanto per il 35%. Per il resto, nelle mie vene scorre il sangue della contaminazione di diverse etnie. Forse da questo nascono la mia curiosità e la voglia di mettere all'interno del mio percorso musicale influenze differenti».

Un ottimo esempio è rappresentato, scusa il gioco di parole, dall'incontro con La Rappresentante di Lista...
«È stato un incontro che non mi aspettavo, tra noi è nata una bella amicizia, con Veronica e Dario c'è stata da subito empatia. In studio ci siamo divertiti e mi piace molto questo pezzo, perché attraversare le culture penso che rappresenti per chiunque un arricchimento, di conseguenza non posso che considerarla una focus track del disco».
Una collaborazione per nulla scontata è quella con Bresh, anche in questo caso vi siete trovati a metà strada?
«Bresh è arrivato al momento giusto e ha dato una svolta alla canzone, il bello è che a tratti si è un po' "mengonizzato" lui e, di conseguenza, mi sono anche "breshizzato" io, perché ci sono dei punti in cui quasi rappo e devo dire che lo considero davvero un bell'incontro. Pensa che avevo scritto uno special, poi sentendo il suo l'ho cestinato. Bresh ha davvero una penna fantastica».
Un brano davvero notevole è "Ancora una volta", cantato a due voci con Samuele Bersani...
«È un pezzo a cui tengo tantissimo, perciò ho chiesto a Samuele di farmi questo regalo, che non considero un vero e proprio feat. Per me è un onore avere un artista come lui nel disco, oltre che nella vita come amico. Prima o poi pubblicherò le nostre conversazioni, perché il mondo deve sapere che dietro un cantautore del suo calibro c'è anche una persona molto spiritosa e divertente (ride, ndr)».
E poi c'è l'inedito di Sergio Endrigo, un vero e proprio gioiello no?
«Direi proprio di sì. Dopo aver fatto un po' il giro del mondo, alla fine dell'ascolto si fa ritorno a casa e chi meglio di Sergio Endrigo per rappresentare la scrittura italiana d'altri tempi? Si tratta di un inedito del '73 che è stato tirato fuori dal cassetto dalla figlia Claudia, che ha voluto fortemente che io lo cantassi e, ovviamente, l'ho fatto con molto piacere e con il dovuto rispetto».

La bellezza di questo lavoro è che, alla fine, i temi e i concetti si riflettono anche nelle scelte sonore...
«Esatto. Nell'elaborazione di questo disco è stato bello scoprire cose che non sapevo, partendo dalla ritmica africana di "Unatoka wapi", che tradotto dallo swahili significa "Da dove vieni", così come gli altri mondi che si distaccano dal mio. Paradossalmente la nostra società si sta sempre più chiudendo, tutto questo sembra anacronistico, perché la conoscenza e l'inclusione sono alla base di tutto».
Nel vocabolario di Marco Mengoni, quale definizione trova la parola “pelle”?
«La pelle è quella parte di noi che ci rende unici e che pian piano, nel tempo, si arricchisce di rughe e di segni. Tutte quelle esperienze penetrano nel nostro corpo e si fermano sulla superficie della nostra pelle, un po' come questo disco che attinge da luoghi e da culture diverse, per poi restituire una propria identità a ciascuno dei pezzi presenti in scaletta».
Un album variegato dove al suo interno c'è molta sostanza e, come suggerisce il titolo stesso, molta materia...
«Sì, mi piaceva questo concetto, perché il tatto e l'odore della pelle sono elementi fortemente caratterizzanti dell'essere umano, quindi non poteva che essere questo il giusto sottotitolo per il secondo capitolo della trilogia che, pian piano, si arricchisce anch'essa di personalità e di unicità».
Infine, tornando al test del DNA e a quel 35%, avendo parlato delle varie influenze che compongono questo disco, quali sono gli elementi di italianità che consideri più riconoscibili?
«Una grandissima importanza ce l'hanno sicuramente il peso al verbo e alla parola, perché penso di essere stato ancora più attento ai testi rispetto a "Materia (terra)". Mi reputo figlio di un certo tipo di scrittura legata allo stesso Endrigo e quell'epoca in particolare, non a caso i miei pezzi preferiti sono nati tutti tra gli anni '60 e '70. Ma, come spiegato ampiamente, sono molto legato al concetto di contaminazione, nonché curioso di lasciarmi influenzare dalle altre culture che fanno parte del restante 65% del mio DNA».
