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Matteo Faustini: «Ho imparato a convivere con la mia sensibilità». L'INTERVISTA

A tu per tu con il giovane cantautore bresciano, alla sua seconda prova discografica. "CondiVivere" è il titolo dell'album disponibile da venerdì 9 dicembre


Si intitola "CondiVivere" la nuova fatica discografica di Matteo Faustini, cantautore che abbiamo imparato a conoscere con la sua partecipazione tra le Nuove Proposte di Sanremo 2020 e con la conseguente pubblicazione del suo primo album "Figli delle favole". In questo nuovo progetto, disponibile per Dischi dei Sognatori e distribuito da Artist First dal 9 dicembre, l'artista bresciano si mette a nudo per raccontare e raccontarsi in modo inedito, catartico e confidenziale. Ecco cosa ci ha rivelato a proposito di questo lavoro di ricerca, sia interiore che esteriore, durato circa due anni e mezzo.


Intervista a Matteo Faustini


“Odio essere sensibile è come avere un superpotere che hai paura di usare”: partiamo da questa prima considerazione contenuta in una delle prime tracce in scaletta. Quanto hai dovuto fare i conti con la tua natura per buttare fuori queste nuove canzoni?


«È stato come incontrare lo specchio e parlarci, un qualcosa per me necessario. Sono abituato a vivere ogni giorno della mia vita come fosse l'ultimo, questo atteggiamento mi sprona a cambiare in meglio e di farlo attraverso la musica. A differenza del mio primo disco, che ho scritto per me e per il piacere di farlo, questa volta ho sentito la responsabilità di rivolgermi anche alle persone che mi seguono, alle anime che hanno scelto di condividere con me il loro viaggio. Avere la consapevolezza che anche solo poche persone possano star meglio dopo aver ascoltato questo disco, mi rende felice e soddisfatto dell'intero lavoro. Comunque vada, ho già vinto».

Nel tuo nuovo singolo “Il girasole innamorato della luna”, un brano davvero notevole, c’è un passaggio in cui dici: “vi chiedo per favore di ascoltare attentamente tutte le parole”. In una società che va sempre più veloce e non ascolta più con la dovuta attenzione, hai un po’ il timore che tutte queste emozioni possano disperdersi o comunque non essere recepite come vorresti?


«Certamente sì. La cosa su cui mi focalizzo di più, per l'appunto, sono i testi. Sono consapevole del fatto che, tendenzialmente, chi ascolta musica lo fa per rilassarsi. Difficilmente dopo una giornata di lavoro ha voglia di star lì e mettersi a riflettere, ma non ci posso fare niente... questo è il tipo di musica che mi piace. La canzone per me non è mai mercenaria, devo sempre avere qualcosa da dire quando scrivo. Ho sviluppato la capacità di immergermi in un certo tipo di vissuto anche quando non sto vivendo quella stessa situazione. Questo mi ha permesso di riuscire a portare avanti sia il mio discorso discografico che quello autorale, firmando pezzi anche per e con altri artisti».



Una delle mie tracce preferite di questo disco è “Il doppio della mia metà”, dedicata a tua mamma. Come ha reagito la prima volta che l’ha ascoltata?


«Penso che molte delle sue lacrime siano ancora nella mia stanza/studio dove solitamente scrivo. È stata quasi male, come se mia mamma fosse un barattolo che può contenere solo 100 ml e la canzone fosse stata un litro. Forse troppo per lei, pensa che ogni volta che l'ascolta continua a piangere come la prima. Con "Il doppio della mia metà" sono riuscito a restituirle una piccola parte di bene, sicuramente meno rispetto a quello che lei regala a me».

In “Medioego” ti interroghi su dove possa nascondersi Dio in un mondo sempre più anoressico, fatto di conflitti di diverso tipo, comprese le guerre vere purtroppo. Sei riuscito a darti delle risposte con questa canzone?


«Sì, conscio che un anno fa la pensavo in un modo e dieci anni fa ancora in un altro. In futuro chissà, però al momento penso che non ci sia una risposta oggettiva, pura e scientifica. Ho deciso di sceglierne una mia e credere in una mia religione sincretica, dove prendo pezzi di ogni cosa e credo in ciò che mi fa star bene. Alla fine, basta essere buoni e fare del bene, cercando sempre di migliorarsi un po'. Quello che penso è che Dio non è solo amore, altrimenti non ci sarebbero tante cose brutte che sentiamo e vediamo. Ti dirò, credo che siano necessari anche il male e l'odio, servono ad apprezzare ancora di più le cose. Anche le esperienze negative, se canalizzate nel modo giusto, possono servire a qualcosa».

"CondiVivere" è un disco che parla anche del peso delle aspettative, un tema che in un mondo ipercinetico come questo risulta più che mai attuale. Qual è il segreto per non finire di sentirsi schiacciato dalle responsabilità?


«Penso che non ci sia una sola risposta a questa domanda, il mio segreto è pensare tutti i giorni alla morte. A me aiuta chiedermi cosa sarei disposto a fare se questo fosse il mio ultimo lunedì o il mio ultimo venerdì. In questo modo, seguo sempre ciò che mi fa star bene e così credo di non avere rimpianti. Cosa sono qui a fare se non a scegliere e a creare chi voglio diventare?».


Intervista a Matteo Faustini


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