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Rosa Chemical: «A Sanremo per normalizzare determinate tematiche». L'INTERVISTA

È uno dei beniamini della generazione Z, provocatore garbato e irriverente. Lui è Manuel Franco Rocati, alias Rosa Chemical, al suo debutto sul palco dell'Ariston con "Made in Italy"

ph Arsenyco


"Nella tradizione non mi sento affatto italiano" con questo claim Rosa Chemical si presenta al Festival di Sanremo dopo l'ospitata dello scorso anno. Questa volta, però, lo attende la gara che affronterà con il brano "Made in Italy", scritto e composto a otto mani con Paolo Antonacci, Davide Simonetta e Oscar Inglese. In questa intervista, parliamo della sua preparazione in vista dell'impegno festivaliero e del significato contenuto tra le righe della sua canzone.


Intervista a Rosa Chemical


Hai definito "Made in Italy" un messaggio d’amore, di sesso, di uguaglianza e di libertà. Una canzone a strati, che si mostra leggera e che racchiude al suo interno tematiche alle quali sei parecchio legato, no?


«Sì, assolutamente. Queste quattro che hai elencano sono tra le tematiche a cui sono più legato. C'è tanto bisogno di parlarne e di spiegare all'Italia che ci sono altri punti di vista rispetto a quelli che si conoscono».

Sei uno tra i pochi che ancora prima di essere stato annunciato nel cast di Sanremo, non si è fatto problemi nel confermare la propria candidatura. In più, nel brano citi Adriano Celentano e Vasco Rossi, artisti che fanno parte della storia del Festival. Cosa ti ha spinto a voler calcare il palco dell'Ariston in gara?


«Come al solito, ne ho parlato in maniera aperta perché mi viene naturale farlo per qualsiasi cosa, non sono una persona che ha peli sulla lingua né che manda a dire le cose. Come dovrebbe essere, ma la realtà è che non è mai così. Diciamo che quello che mi affascina di questo palco è il grande lavoro che stanno facendo per rinfrescarlo e per renderlo un Festival per tutti, dai giovanissimi ai più anziani. Mia nonna sarà felicissima di vedere in gara I Cugini di Campagna, così come i ragazzi saranno felici di vedere Olly e tanti altri. Alla fine, ce n'è per tutti ed è proprio questo che mi affascina. In più si tratta del palco made in Italy per eccellenza, non vedo l’ora di salire su quel palco per farvi conoscere la mia musica e farvi entrare nel mio mondo».



Sei reduce da un periodo di ricerca in cui hai sperimentato e lavorato verso una direzione più pop e meno urban rispetto al passato, almeno da quello che abbiamo potuto ascoltare con “Non è normale” e che ascolteremo con “Made in Italy”. Consideri questi due pezzi apripista di una nuova fase del tuo percorso?


«La realtà è che nell'ultimo anno sono stato meno attivo discograficamente, mi sono chiuso in me stesso alla ricerca della mia vera essenza. Essendo per natura un istintivo, ho lavorato molto sulla progettualità per capire cosa volessi diventare, sempre mettendo in conto chi sono veramente. Un conto è mettersi una maschera e fare il personaggio, un altro è mettere in parallelo ciò che si è con ciò che si vuole fare. È stato un periodo di sperimentazione e penso di aver trovato, pian piano, la mia vera essenza».

“Made in Italy” è un brano che farà riflettere, anche di rottura perché potrebbe aprire dei dibattiti. Parli di relazioni aperte, di poliamore e di argomenti che vanno anche in contrasto con una certa italianità. La tua musica può essere intesa come veicolo per "normalizzare" determinate tematiche?


«Vorrei che fosse un veicolo per normalizzare le tematiche a cui tengo, lo scopo principale è questo. Più che vincere il Festival di Sanremo, l'obiettivo è sdoganare tutto quello che andrò a raccontare nella canzone. Tante volte, dei pezzi che appaiono leggeri al primo ascolto, nascondono al loro interno un significato molto più forte e complesso. Penso a canzoni come "Il triangolo", "Mi vendo" e anche la cover che eseguirò al Festival, alla fine ha un messaggio molto profondo, in riferimento alla sessualità un po' più libera e all'autoerotismo. L'obiettivo non è certo quello di inculcare un qualcosa, ma semplicemente di dire la mia».

Per concludere, esattamente vent’anni fa veniva pubblicato l’ultimo disco di Giorgio Gaber, che si intitolava provocatoriamente “Io non mi sento italiano”. Riallacciando questo concetto alla tua canzone, ti chiedo: in cosa ti senti italiano e in cosa no?


«Mi sento italiano sicuramente per quanto riguarda la moda, l'arte e la cucina. Non mi sento italiano per quanto riguarda la politica, la chiesa e un certo bigottismo italiano un po' più tradizionalista. Ecco, nella tradizione non mi sento affatto italiano».


Videointervista a Rosa Chemical


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